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IL CASO TONY EFFE – Un pretesto per parlare di product placement, pubblicità occulta, endorsement, indebito rilievo

Immagino la scena: terza serata, dietro le quinte Tony Effe sta per salire sul palco dell’Ariston, il cuore che batte veloce, l’adrenalina, il respiro affannato, un passo e poi la richiesta del dirigente di esibirsi senza la preziosa collana.

Approfittando del citato episodio, cerchiamo di far ordine nella non sempre univoca disciplina dell’inserimento dei marchi e prodotti commerciali all’interno delle trasmissioni e produzioni cine-audiovisive introdotta nel cinema con il D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 28 e nella televisione con il D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 44, attraverso lo strumento del c.d. product placement o inserimento di prodotti, il tutto con le modalità (evitando influenze e tutelando la responsabilità ed indipendenza editoriale del fornitore di servizi di media, non incoraggiando direttamente l’acquisto dei beni o servizi, non dando indebito rilievo ai prodotti ed informando i telespettatori del relativo inserimento) e divieti (è proibito l’inserimento di sigarette, altri prodotti a base di tabacco o contenenti nicotina, sigarette elettroniche, liquidi di ricarica, specifici medicinali, dispositivi medici o cure mediche che si possono ottenere esclusivamente su medica, etc.) attualmente previsti dal D. Lgs. 8 novembre 2021, n. 208.
Se è quindi possibile l’inserimento di prodotti commerciali in tv, che cosa è accaduto durante la kermesse sanremese?
Da quanto dichiarato dal Vice Direttore Intrattenimento Prime Time Claudio Fasulo, la problematica è sorta a causa dagli obblighi contrattuali assunti dai partecipanti nei confronti dell’emittente “(…) Gli artisti firmano un accordo con la Rai che prevede il divieto di pubblicità occulta sia con i marchi sia con oggetti riconducibili ai marchi. La Rai ha una concessionaria che vende la pubblicità, la pubblicità occulta è una violazione delle regole della pubblicità.”.
Il suddetto divieto appare quindi riconducibile a diverse esigenze: da un lato la salvaguardia dello spettatore, attraverso la vigilanza sulla “pubblicità occulta”, ovvero l’utilizzo con finalità promozionali di un marchio o prodotto in maniera non esplicitamente dichiarata ai telespettatori, dall’altro la tutela patrimoniale degli inserzionisti che acquistano dalla concessionaria della RAI gli spazi pubblicitari durante il Festival. Il tutto alla luce del fatto che il festival, oltre alle tradizionali interruzioni pubblicitarie, contiene anche dei product placement “ufficiali”, come da apposita identificazione (“Nel programma sono presenti inserimenti di prodotti a fini promozionali”) che, ai sensi della vigente normativa, deve comparire all’inizio e alla fine della trasmissione e quando il programma riprende dopo un’interruzione pubblicitaria.
A conferma di quanto sostenuto dai dirigenti RAI il regolamento di Sanremo, nelle Disposizioni generali e finali, prevede che “(…) Gli Artisti e … tutti i partecipanti, a qualsiasi titolo, a SANREMO 2025 … durante le loro esibizioni, non potranno … utilizzare oggetti o indossare capi di vestiario aventi riferimenti, anche indirettamente, pubblicitari o promozionali”.
Seppur la tematica sembri chiaramente disciplinata e di semplice applicazione, l’insorta problematica deriva dal fatto che la valutazione circa la possibilità di indossare o meno un determinato prodotto sia stata demandata ai funzionari che hanno dovuto, di volta in volta, accertare la presenza di marchi ovvero la riconoscibilità dei prodotti indossati. Come spiega Marcello Ciannamea, Direttore Intrattenimento Prime Time “… il discrimine, in sostanza, sull’oggetto o sui singoli oggetti che non hanno brand visibili, è rappresentato dalla riconoscibilità del prodotto… semplicemente non ammettiamo i marchi riconoscibili, o anche gli oggetti senza marchi, ma comunque riconoscibili…”.
Ma mentre appare relativamente semplice individuare la presenza di eventuali “loghi”, decisamente più complesso è riconoscere i “capi di vestiario aventi riferimenti, anche indirettamente, pubblicitari o promozionali”, valutazione soggettiva e demandata alla conoscenza e alla sensibilità personale dell’incaricato al controllo.
Il risultato è che, nonostante il divieto di cui al regolamento, gli esiti dei controlli sono stati così eterogenei che, durante le esibizioni, gran parte degli artisti ha comunque indossato capi di vestiario ed accessori, oggetto di possibili/probabili accordi di endorsement (ampiamente utilizzato anche nell’ambito dei social media sia dalle celebrities che dagli influencers), con (evidenti) riferimenti pubblicitari o promozionali. Lo stesso Tony Effe, anche nelle successive serate del festival, nonché nelle trasmissioni ad esso collegate, ha continuato ad indossare accessori appartenenti al medesimo brand.
In ogni caso, prendendo spunto dalle parole del Direttore Intrattenimento Prime Time Rai (“… Gli altri oggetti, non immediatamente riconoscibili, possono essere indossati, ma senza inquadrature insistite”), sembrerebbe che la RAI, al fine di prevenire eventuali violazioni sanzionabili dall’AGCOM (si ricordano le sanzioni irrorate alla Rai di 175.000 euro per le continue citazioni di Instagram, e quella di 206.000 euro per le sneaker indossate da John Travolta), abbia comunque proceduralmente adottato il criterio di evitare “inquadrature insistite” e ciò per scongiurare qualsivoglia eventuale indebito rilievo, con ciò intendendosi, sulla base dei criteri adottati dall’Osservatorio permanente in materia di inserimento di prodotti istituito con delibera n. 19/11/CSP e dalle più recenti pronunce, quando il prodotto sia presentato con enfasi eccessiva e non giustificata, misurata in relazione alla durata e all’insistenza dell’inquadratura e quindi con l’assenza di oggettività nella descrizione.

Alla luce della presente disamina, ci rendiamo quindi conto di come il festival sia stato un delicato crocevia dei diversi interessi, patrimoniali e non, di tutte le parti coinvolte – broadcaster, artisti, brand ed inserzionisti – in parte confliggenti fra loro:

– la RAI, interessata a valorizzare i propri spazi pubblicitari (con comunicazioni tradizionali e non) ed a fare quanto in suo potere ai fini della tutela degli spettatori da comunicazioni commerciali non palesi
e vedersi garantita da eventuali sanzioni da parte dell’AGCOM.
– Gli inserzionisti che, acquisendo uno spazio pubblicitario o effettuando un’operazione di product  placement, vogliono vedersi rassicurati dalla presenza di eventuali inserimenti occulti, a discapito degli investimenti dai medesimi sostenuti.
– Gli artisti, interessati a patrimonializzare la propria esibizione mediante rapporti di endorsement con un determinato brand che, a propria volta, ha interesse ad essere associato – con una comunicazione non “tradizionale” – ad uno specifico artista e ad ottenere la grande visibilità derivante dalla manifestazione trasmessa in prima serata da Rai1.
Di sicuro la RAI, con il predetto divieto, interferisce – a torto o ragione – nell’esercizio dei diritti patrimoniali in capo agli artisti, imponendo, di fatto, una limitazione alla libertà negoziale delle parti.

Al fine di meglio disciplinare la presenza dei prodotti commerciali, sottraendoli quindi alle valutazioni soggettive dei singoli funzionari, sarebbe utile aggiornare il regolamento e le clausole contrattuali con i cantanti. La predetta finalità potrebbe essere ad esempio conseguita mediante l’invio alla RAI, per la sua preventiva approvazione, degli outfit (inclusi gli accessori) indossati dagli artisti durante il festival e le eventuali trasmissioni ad esso collegate. Certo, una siffatta soluzione comporterebbe, in ogni caso, una limitazione alla libertà di espressione degli artisti, che non si estrinseca solo con la parola o con il canto, ma anche con la (libera) scelta dell’abbigliamento, anch’esso potente strumento di comunicazione e di affermazione della propria identità e dei messaggi e valori che si intendono veicolare.
Diversamente – ma questa è una provocazione – occorrerebbe istituire, con il compito di verificare antecedentemente alle performance, la presenza o meno di oggetti o capi di vestiario aventi riferimenti anche indirettamente pubblicitari o promozionali, la specifica figura del brand o luxury controller, con una specifica competenza in moda, tendenze, luxury, social media, etc., oppure, e lo si ipotizza in maniera ulteriormente provocatoria, imporre agli artisti outfit no-logo o, ancora meglio, divise identiche tra loro, sperando che le personalità e le performance degli stessi non ne risentano!

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